Il padre di mia zia mi ha raccontato...
Un giorno andai da mia zia e per caso trovai il suo papà che è un simpatico vecchietto, arzillo e schietto. Incominciammo a parlare di come andava la vita, del più e del meno e mi disse che in parte era stato fortunato di essere nato in questo fine secolo. Io gli chiesi il perché e lui mi rispose, che quello che oggi abbiamo, ieri non c'era . Il suo ieri era rivolto alla sua fanciullezza triste e piena di miseria, perché era il periodo della guerra.
Io ancora più incuriosito e gli chiesi come erano stati quei momenti e quei tempi per lui. Cosi egli incominciò il suo lungo racconto un po' confuso, un po' vago, ma a volte molto preciso. La sua infanzia già gli era stata negata, per la perdita del suo papà e la mamma doveva lavorare per sfamare i suoi sette fratelli. La mamma li portava per i campi a zappare la terra e a pascolare le pecore. A pranzo si mangiava verdura di cicoria o quello che capitava; la cena si saltava poiché si viveva in piena povertà. Durante la notte la mamma li portava nei rifugi per dormire al sicuro sperando, che durante il sonno non succedesse niente di pericoloso. Erano gli anni della seconda guerra mondiale; a scuola si andava con la camicia nera perché così voleva Mussolini, ma egli a scuola era andato poco perché doveva pensare alla mamma e ai suoi sette fratelli, infatti egli era il più grande. Dovevano fare i conti non solo con la miseria e la fame ma anche con le malattie. Egli infatti era rimasto colpito da una malattia che si chiamava "Angina" ed aveva rischiato di morire; ma forse non era arrivato il suo momento, e si salvò, dicono solo per un miracolo, di un santo al quale egli è ancora affezionato e che si chiama San Gerardo. Egli è rimasto paralizzato da questa malattia al lato destro del corpo compreso il braccio e l'occhio. Racconta ancora che al suono delle sirene o degli aerei che volavano a bassa quota loro lasciavano all'istante quello che stavano facendo e correvano subito nei rifugi; questi rifugi erano dei luoghi scavati sotto la terra e servivano per ripararsi da eventuali bombardamenti.
Per questo la sua infanzia gli è stata negata non c'era stato tempo per essere bambino; egli doveva comportarsi da ometto (così dice) già responsabile della sua vita e anche di quella della mamma e dei suoi fratelli.
Carlo D'Angelo classe IV
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