DAL
QUOTIDIANO “LA CITTA“
DEL 19.09.1998
UN
ESTRATTO DALL’ ARTICOLO DI MASSIMILIANO
AMATO
La vita del Senatore Luigi Angrisani è tutta
in una frase a lui molto cara e che
racchiude lo spirito forte e battagliero di
“don Luigi”: << Ho dato fastidio
sin dalla nascita. Per far partorire mia
madre la levatrice fu costretta ad
affrontare una bufera di neve. Poveretta, si
beccò una broncopolmonite che nel giro di
una settimana la portò alla tomba.>>
Nato
in una rigidissima mattinata di gennaio del
1905
nel Palazzo De Simone, oggi unica
testimonianza della passata grandeur
braciglianese.
Il padre, Basilio, originario di Mercato San
Severino, era il medico condotto del paese;
la madre Raffaella Albano, discendeva da una
famiglia di notabili braciglianesi: tra i
suoi avi notai, avvocati e medici: infanzia
tra gli stucchi del palazzone di Via Filzi,
con dodici tra fratelli e sorelle: amici,
complici e solidali. Una famiglia
unitissima; il giovane Luigi se ne distacca
solo verso la fine degli anni Venti, quando
dopo la maturità classica conseguita al
“Vico” di Nocera Inferiore approda a
Napoli, primo Policlinico, per la laurea in Medicina (specializzazione in malattie infettive e
tropicali), che arriva nel 1932.
Il futuro senatore non nasconde simpatie per
la politica coloniale di Mussolini, pur
restando sempre tiepido verso il Fascio
omologante dell’epoca. Con la laurea in
tasca, parte alla volta della periferia
dell’Impero: in Etiopia riesce ad ottenere
in concessione un suolo agricolo
impiantandovi un’azienda.
Tentativo velleitario: le cose vanno
male, e torna in Italia: l’esotico, però,
continua ad affascinarlo.
Allo
scoppio della Seconda guerra mondiale,
si fa destinare al fronte nordafricano.
Ufficiale medico: la possibilità
finalmente, di sperimentare sul campo le
cognizioni acquisite sui banchi
dell’ateneo
federiciano. Ma la Wermacht e Rommel
gli stanno sullo stomaco. Ribelle ad ogni
imposizione, fedele solo al giuramento d’Ippocrate,
Luigi Angrisani abbandona il fronte molto
prima dell’otto
settembre. La grande sbornia nazifascista lo
ha disgustato, in Italia sfugge ai
rastrellamenti tedeschi grazie alle
coperture che gli forniscono gli
antifascisti braciglianesi. Le rovine del
dopoguerra, più che abbatterlo,
costituiscono un propellente per il suo
carattere. Si stabilisce a Nocera Inferiore
e, da un vecchio ospedale da campo americano
nella zona della stadio
San Francesco, ricava il primo nucleo
del futuro nosocomio nocerino Umberto I, di
cui diventa Direttore sanitario e
“factotum”, si diceva così all’epoca.
Angrisani, di estrazione cattolica,
ha simpatie per la Dc, ma le perde quasi
subito. Il pretesto è la defenestrazione
dall’ospedale dell’Agro: i baroni
democristiani che popolano le corsie sono
utilizzati come killer dal senatore Goffredo
Lanzara, notabile scudocrociato
dell’epoca, cognato dello storico rivale
braciglianese Donnarumma. E' ’a svolta,
professionale e politica. Con il fratello
Antonio (futuro direttore sanitario del
“San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona
di Salerno), dopo aver acquistato la Villa
dei Marchesi Granafei, feudatari d’Alfaterna,
fonda la clinica specializzata nella cura
delle affezioni tubercolari “San
Pantaleone”; in politica aderisce (<<per
legittima difesa >> dirà lui più
tardi: l’estabilishment democristiano
nocerino gli ha fatto terra bruciata
intorno, spedendolo addirittura davanti ai
giudici) al Fronte popolare che, nel
’48 lo candida al Senato nel collegio
di Nocera Inferiore, in contrapposizione
proprio a Lanzara.
Finisce male, ma quattro anni dopo Angrisani si
prende una clamorosa rivincita: eletto
al primo colpo sindaco di Nocera Inferiore e
consigliere provinciale.
Compare il Gallo, troppo semplicemente bollato come
l’espressione folklorica della politica
dell’epoca. Sotto l’insegna del volatile che col suo canto deve
risvegliare le coscienze intorpidite e
angosciate del dopoguerra, il giovane medico
braciglianese
approda
a Palazzo Madama un anno dopo,
prevalendo nel collegio unico regionale su
big del peso di Epicarmo Corbino e Arturo
Labriola. Un plebiscito: Angrisani rastrella
38.000 voti. Sono i tempi, eroici, della
Sinistra indipendente: in Parlamento
Angrisani, un senza tessera nell’Italia
irregimentata in partiti, gruppi organizzati
e sindacati, fa irruzione con la sua
oratoria torrenziale e i suoi modi da Sgarbi
ante litteram: uno “scapigliato” della
politica che miete simpatie sia tra i banchi
comunisti che tra quelli socialisti.
Nel
’56 la seconda svolta: in
Parlamento si vota la legge truffa,
Angrisani si oppone alla sua maniera finendo
nelle grazie di Giuseppe Saragat, padre
storico della socialdemocrazia italiana e
protagonista principe, otto anni prima,
della storica scissione di Palazzo Barberini,
quando l’anima moderata dei socialisti
italiani aveva abbandonato gli
“stalinisti” Nenni e Pertini al
soffocante abbraccio
coi comunisti filosovietici.
Angrisani non tradisce le sue origini e aderisce al
Sole nascente. E’ l’inizio di un’era
che si conclude solo pochi anni prima della
morte, passando attraverso una dolorosa
diaspora. Un incidente stradale in cui
rimane coinvolto nel
1956 (muoiono, sulla Caserta-Salerno,
tre calciatori della Casertana e un suo
attendente, lui riporta fratture multiple)
non ne inficia l’impegno a
trecentosessanta gradi.
Dal
1958 al 1974 non fallisce un colpo:
sempre eletto in Parlamento nel PSDI.
Leader
incontrastato della socialdemocrazia
salernitana, in vent’anni ricopre la
carica di viceministro ai Trasporti,
all’Agricoltura, alla Difesa, ai Lavori
pubblici, alle Poste.
Il suo rivale storico è Fiorentino Sullo,
potentissimo ministro dell’Industria
democristiano, fondatore della Sinistra di
base.
Angrisani porta la sfida in campo aperto. I suoi
comizi sono autentici show; precursore dei
tempi, inaugura la politica – spettacolo
portandosi dietro, sulle piazze del collegio
Salerno – Avellino – Benevento, folle
adoranti.
Dal piccolo paese aggrappato alle
pendici del monte Piesco partono torpedoni
di fan: lui ricambia con espressioni
colorite che infiammano lo scontro. La sua
evoluzione politica segue,
disciplinatamente, quella dei socialisti
italiani:
nel
1968 è capolista del PSU, nato dalla
fusione tra PSDI e PSI, nel secondo collegio
campano. Cinque anni prima, nel ’63, si
era portato a Montecitorio Enrico Quaranta e
Lucio Brandi: il primo sindaco di San Pietro
al Tanagro, il secondo di Sapri. Quando la
brevissima stagione dell’unificazione
tramonta, Quaranta e Brandi non sono più al
suo fianco. Angrisani ne fa una ragione
d’onore. All’incontro chiarificatore,
nel ristorante Corialano di Roma, quando
capisce che i due si sono già accordati con
il segretario PSI Giacomo Nancini, fa volare
un tavolo in mezzo alla sala. E’ la sua
maniera di reagire ai tradimenti: da quel
momento dichiara una personalissima guerra a
Quaranta, che sfocia in un famoso comizio
nel corso del quale, brandendo dal palco uno
slip da donna, Angrisani ne attribuisce la
proprietà alla consorte del senatore
socialista del Vallo di Diano.
Vulcanico, focoso, irrompe anche sulla scena
amministrativa salernitana, facendosi
eleggere per due legislature consigliere
comunale. Sono gli anni a cavallo tra il
regno di Menna e quello di Russo: lui,
Angrisani, fa “gruppo” praticamente da
solo nel salone dei marmi, ma dà filo da
torcere sia al sindaco – patriarca che al
truce Gasparone.
Nel
1973 cominciano i suoi contrasti con Mario
Tanassi,
boss socialdemocratico di quegli anni. Dal
potentissimo ministro della Difesa coccolato
da Andreotti lo divide quasi tutto: dalla
concezione della politica a quella della
gestione ordinaria del PSDI. Angrisani tuona
contro il “partito degli assessori“ e
delle tessere, anticipando di cinque anni
gli esiti dell’inchiesta sul cosiddetto
scandalo Lockheed. Nelle segrete stanze del
ministro lui sottosegretario tenuto
opportunamente all’oscuro di tutto, aveva
subodorato la puzza di bruciato che si
sprigionava dall’affare degli aerei
militari comprati e rivenduti a prezzi
maggiorati con l’intermediazione
dell’ancora oggi misterioso Antelope
Cobbler. Angrisani non ha perso il gusto
della denuncia; e a costo di spaccare il
partito, si scaglia contro Tanassi. Ancora
una volta, riemergono i segni dell’antico
onore tradito: il senatore sfida a duello
(proprio così) il segretario del suo
partito, al quale indirizza telegrammi di
questo tenore: “Passerai alla storia per
la tua viltà”, o ancora : “Tutto hai
distrutto stop. Nemmeno onore salverai
stop”. Ne ricava un’espulsione dal PSDI
che lo costringe a riesumare il vecchio
Gallo. Con la Sinistra indipendente torna in
consiglio comunale a Nocera Inferiore, ma è
bocciato alle politiche del 1976.
Gli ultimi due anni li trascorre nella sua clinica,
sulla collina di San Pantaleone. Malato e
deluso partecipa solo alle sedute
dell’assemblea nocerina, diradando anche
le visite a Bracigliano.
L’11
ottobre 1978 è
agonizzante nel suo letto quando gli portano
una copia del Corriere
della sera
. Un
guizzo
degli occhi accompagna il titolo
d’apertura del quotidiano milanese:
“Scandalo Lockheed, incriminati Tanassi,
Gui e Rumor”. Non ha la forza di parlare,
ma quella di far volare il giornale per aria
sì. Spira devastato da un tumore, tre
giorni dopo. Intorno al suo letto il figlio
Luigi Celestre e tutti gli Angrisani. Il suo
testamento politico, dettato sette anni
prima ad un cronista del “Sole
nascente”, organo
del PSDI, suonava così: <<Trovare
un posto ad un disoccupato per far tornare
serenità in una famiglia è per me sempre
una grande gioia. Difendere un povero
perseguitato da un potente è per me una
grande soddisfazione; tra sgrumati e
sfruttatori, per istinto, sono stato e sarò
sempre con i primi>>.
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